lunedì 4 aprile 2016

Autobiografia - Capitolo 1


Buona sera!
Visto che qualche giorno fa sono riuscita a leggere “Autobiografia burlesca e altre storie”, di Mark Twain, volevo parlarvi proprio di questo libretto, a mente ancora fresca e ad impressioni ancora calde.
Se fosse un oggetto di design, questo libro avrebbe tutte le caratteristiche necessarie per

definirsi minimal, sia nell’aspetto – da notare la copertina ridotta agli elementi essenziali su sfondo bianco che sembrano voler gridare: “less is more” da ogni angolo – che nel contenuto. L’autobiografia più breve, strana, divertente e pazza che abbia mai letto. Non leggo molte autobiografie, ma sono comunque abbastanza sicura che questi siano termini adatti. Non sono invece altrettanto certa che possa davvero definirsi un’autobiografia, ma andiamo con ordine. Il primo dato che osserverò, anche se sarà  il meno rilevante, è la sua brevità. “Autobiografia burlesca” conta più o meno cinquanta pagine, nelle quali possiamo notare come la vera e propria autobiografia che da il nome al titolo non sia altro che un terzo dell’intera opera. Lo potete tranquillamente leggere tutto in meno di un’ora, se siete lenti un’ora e mezza, ma non di più. Già di per sé, tale scelta in un libro che teoricamente dovrebbe raccontare la propria intera vita, non risulta molto frequente. Del resto, potremmo ribattere che Twain non è uno scrittore comune. Insomma, non ne nascono a milioni. Mark Twain, difatti, non racconta la vera storia della sua vita (anzi, della sua vita ne parla assai poco), o dei suoi veri antenati. Sembra piuttosto essere una grande presa in giro delle ricerche familiari sulle proprie discendenze, una novella per burlarsi di chi ha la puzza sotto il naso, o per far divertire il lettore. Beh, fidatevi: ci riesce. Di solito, se si parla del proprio albero genealogico, si tende a descrivere le storie dei propri predecessori cercando di essere il più possibile attendibili alla realtà e in modo tale da far risaltare le peculiarità dei vari soggetti, le loro caratteristiche principali, i loro meriti soprattutto, o il loro modo di pensare, o ancor meglio un’esperienza catartica che abbia condizionato particolarmente la loro vita; un argomento estremamente serio e importante e una cosa di cui essere orgogliosi. Ecco, non siamo esattamente di fronte ad un caso di questo tipo. Ci ritroviamo faccia a faccia con soggetti che, durante la loro vita, non sono stati particolarmente delle brave persone: un lupo di mare, un “infilzatore di professione” a cui è stata tagliata la testa per i suoi crimini, un ladro imbarcato con Cristoforo Colombo. Anche quando potremmo scorgere una parvenza di integrità in qualcuno, questo finirà male, per esempio divorato dai cannibali. Non mancano, inoltre, personaggi mitici, come Nabucodonosor, o figure che fanno la loro apparizione in alcuni testi religiosi. Accade però che lo scrittore presenti tali figure con un linguaggio solenne. Lui esalta le malefatte di cui racconta, anche trasformandole in azioni coraggiose e meritevoli grazie alla forma della frase che utilizza. È come se i suoi antenati fossero state persone importantissime per la loro epoca e se avessero dato un fondamentale contributo alla storia, come qualcuno che lascia il proprio segno, al pari di Carlo Magno, o Giulio Cesare. Questo permette di offrire un’opera volutamente comica, con un’ironia e un’autoironia potenti. Fa parte, come Lemony Snicket, di quel tipo di divertimento non solo molto gradevole, ma anche molto arguto. L’unico appunto negativo che avrei da fare sarebbe che è finito troppo presto: all’ultima pagina ero affamata e ne volevo ancora. Per la prima volta ho sentito l’impulso di dover rileggere un libro subito dopo averlo finito. Se si considera, però, che “Autobiografia burlesca” contiene degli scritti minori, fatti per regalare un momento di divertente spensieratezza, quasi come sketch televisivi, possiamo accettare di buon grado il fatto di considerarli come uno spuntino veloce, piuttosto che come un vero e proprio pasto.
In ogni caso, anche le altre due storie raccontate in “Autobiografia burlesca” meritano di essere menzionate. Ho trovato entrambe molto carine, anche se avrei decisamente preferito che la prima finisse diversamente e penso che chiunque avrà mai occasione di leggere questo libro si troverà d’accordo con me. Sono due storie molto diverse: la prima ambientata nel medioevo, tra giochi di potere e inganni, la seconda e ultima in epoca pressappoco contemporanea, in toscana, dove il protagonista, attraverso l’aiuto di un quotidiano locale, gioca letteralmente con la lingua italiana e quella inglese, oltre al fare osservazioni su varie tipologie di giornali, o ancor più in generale su alcune differenze culturali e di espressione. Li definirei quasi degli esercizi di stile: dei giochi di scrittura per liberarsi la mente e tenere in allenamento la propria capacità di scrittore. Trovo però molto interessante e magico il fatto di poter leggere anche questi testi, di uno scrittore. Qualcosa che, forse, non è stata corretta trecento volte prima di essere pubblicata, alla quale si è data meno attenzione, ma che per questo potrebbe anche risultare più vera.
Consiglio la lettura di questo libricino a tutti e soprattutto a chi ama divertirsi e ridere. Poi, andiamo! È probabilmente il libro più breve che abbia mai letto! Conviene davvero fare uno sforzo!
Buona serata, lettori!

-Liù

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